“Chi ha detto che il tempo è denaro? Un filosofo, un banchiere o un orologiaio?” Se ne vanno a rotta di collo le giornate di Marinella e Salvatore, di Nicola e della signorina Patrizia. Le giornate di chi fa dieci lavori tutti precari e ha l’impressione di vivere a mezz’aria, “pisciando in corsa come i ciclisti al Giro d’Italia”. Perché se è vero che il tempo è denaro, il loro tempo dev’essere denaro di qualcun altro. Vivono tutti in un condominio fuori dal Raccordo Anulare, cinque piani di vite arrangiate fra il centro commerciale e il gigantesco call center. Dietro alle spalle ci stanno i padri, con i loro ricordi di guerra e le loro sicurezze appiccicate alla poltrona, “la perseveranza del mondo contadino dentro allo stupro urbanistico palazzinaro”. E nel presente c’è l’insensatezza di un tempo bloccato, apparecchiato e inutile come la casetta di Barbie. Nelle quattro storie che s’intersecano dentro questo libro se ne raccolgono un’infinità di altre, per raccontare l’energia, la delusione e la rabbia di una generazione, ma anche la fantasia e la passione, la voglia di cambiare. Di ribellarsi. Di riposarsi. Di ricominciare. “Mi spogliavo e mi sentivo leggera. Avrei continuato a spogliarmi, se fosse stato possibile. Mi sarei sfilata la pelle come un cappotto e l’avrei appesa a una stampella.”
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