Vincenzo Malinconico è un avvocato semi disoccupato, semi divorziato, semi felice. Ma soprattutto è un grandioso filosofo autodidatta, uno che mentre vive pensa, si distrae, insegue un’idea da niente facendola lievitare. Al centro del romanzo questa volta c’è un sequestro di persona ripreso in diretta dalle telecamere di un supermercato. Ad averlo studiato ed eseguito è il mite ingegnere informatico che ha progettato il sistema di videosorveglianza. Il sequestrato è un boss della camorra che l’ingegnere considera responsabile della morte accidentale del suo unico figlio. Il piano è d’impressionante efficacia: all’arrivo della televisione, l’ingegnere intende raccontare il suo dramma e processare in diretta il boss. La scena del sequestro diventa così il set di un tragicomico reality, con la folla e le forze dell’ordine che assistono impotenti allo “spettacolo”. La sola speranza d’impedire la tragedia è affidata, manco a dirlo, all’avvocato Vincenzo Malinconico, che l’ingegnere incontra casualmente nel supermercato e “nomina” difensore d’ufficio. Malinconico, con la sua proverbiale irresolutezza, il suo naturale senso del ridicolo, la sua insopprimibile tendenza a rimuginare, uscire fuori tema, trovare il comico nel tragico, il suo riepilogare e riscrivere gli eventi recenti della sua vita privata, riuscirà a sabotare il piano dell’ingegnere e forse anche quel gran pasticcio che è la sua vita.
Mia suocera beve
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