Manara Valgimigli è ricordato come uno dei grecisti più raffinati del ¿900. Oltre alla passione per l¿antichità e per la lingua greca, cui dedicò la sua vita, nutrì anche un vivissimo amore per la montagna, tanto che in un¿intervista televisiva del 1962, alla domanda se tenesse più alla sua gloria di grecista o a quella di alpinista, rispose ridendo che teneva senz¿altro di più a quest¿ultima. Viandante instancabile, all¿atto fisico del camminare univa ¿ come spesso accade ¿ quello più intimo della riflessione. Percorrendo le sue raccolte di elzeviri (“Il mantello di Cebète”, “Colleviti”, “Il fratello Valfredo” e “Carducci allegro”), ci si imbatte in una cospicua serie di testi sulla montagna (in particolare sulle Dolomiti), che si segnalano per il nitore dello stile e per quell¿intreccio, sempre fecondo in lui, tra i ricordi (anche dolorosi) e il presente, che si traduce in pagine di speciale intensità. Questo volume li raccoglie per la prima volta, ponendo così l¿accento su un lato meno conosciuto, ma molto affascinante e godibile, della sua produzione.
Strada, la bisaccia e la pipa. Scritti di montagna (La)
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